“Quali sono le tue dieci canzoni preferite?”. È questa la domanda che più mi manda in crisi. Inizio a pensare ad una serie infinita di brani e, quando provo ad inserirle in un’ipotetica classifica, mi accorgo di dimenticarne tanti altri.
Sicuramente una delle canzoni che non manca mai tra i primi pensieri è “Wish you were here” dei Pink Floyd. È incredibile quante volte l’abbia ascoltata e quanto ogni volta, sin dalle prime note, riesca a trasportarmi in un’altra dimensione.
Ma come ben sapete (o forse no, magari non avete mai letto i miei precedenti articoli), non sono qui per parlarvi di musica, ma piuttosto di fotografie legate alla musica e principalmente di copertine di album.
Ecco la famosissima copertina di “Wish you were here”. Che siate o non siate fan dei Pink Floyd, vi sarà sicuramente capitato di vederla in giro per il web o nei negozi di dischi.
La copertina è stata realizzata partendo da un’idea del fotografo e designer brittanico Storm Thorgerson che, nel 1968, fondò lo studio grafico Hipgnosis, insieme a Aubrey Powell.
Partendo dall’idea che le persone tendono a nascondere i propri reali sentimenti per paura di rimanere “scottati”, l’immagine si concretizzò con la presenza di due uomini d’affari che si stringono la mano mentre uno dei due prende fuoco.
Nell’industria discografica era di uso comune il modo di dire “getting burned” (restare scottato o bruciarsi), spesso utilizzato per artisti che avevano ottenuto grossi insuccessi.
Non mancarono inconvenienti tecnici: quel giorno, infatti, il vento era molto forte e, in fase di scatto, soffiò nella direzione sbagliata, cosicché le fiamme arrivarono a sfiorare il volto di Rondell, bruciandogli i baffi.
La soluzione? I due stuntmen cambiarono posizione e la foto venne scattata così come la conosciamo.
Il retro di copertina mostra, invece, un rappresentante commerciale senza volto denominato “Floyd Salesman”, che “vende la propria anima nel deserto” (nello specifico il deserto di Yuma in California). L’assenza di polsi e caviglie lo rappresenta come un semplice involucro, un “vestito vuoto”.
Nel suo studio grafico Hipgnosis, Thorgerson produsse una lunga serie di celebri copertine, ma le sue opere più famose furono sicuramente quelle per i dischi dei Pink Floyd.
Oltre a “Wish you were here”, sua è l’altra copertina simbolo della storia della musica:
Così come molte altre dei Pink Floyd:
Della copertina di “A Momentary Lapse Of Reason”, David Gilmour ha dichiarato “Io disegnai una stanza con una finestra con un letto vuoto e un comodino con sopra una cornice senza nulla. Ho detto a Storm, ‘Sto pensando a una frase per questa canzone, “Vision of a empty bed”‘. Gli ho mostrato questa foto, e lui ha detto: ‘Sì, okay… che ne dici di 500 letti vuoti? Io risposi, ‘Fammi vedere’. Quindi andarono a Saunton Sands (nel Devon, in Inghilterra), misero tutti quei letti e scattarono quella foto che ha richiesto un’enorme quantità di lavoro… centinaia di persone li hanno dovuti spostare tutti, poi li hanno spostati di nuovo quando arrivò la marea e li riportarono di nuovo tutti (per) farlo di nuovo.”.
Il primo tentativo non funzionò a causa delle avverse condizioni meteorologiche, dunque Thorgerson e il suo team dovettero tornare la settimana seguente.
Il lavoro di Thorgerson, però, non si è limitato a una sola band.
Tra gli artisti che si sono rivolti al suo genio creativo troviamo i Genesis, Paul McCartney, Black Sabbath, Peter Gabriel, Muse e Led Zeppelin.
Ha inoltre girato lungometraggi, documentari televisivi, e videoclip musicali per numerosi artisti, fra cui: Paul Young, Nik Kershaw, Big Country, Europe e Robert Plant.
In seguito alla sua morta, David Gilmour rilasciò una dichiarazione “E’ stato il motore dietro la maggior parte delle nostre opere d’arte fino alla sua morte. Era una persona con idee geniali e geniale nel realizzarle…Era sempre in mezzo e voleva sempre fare tutto correttamente, qualunque cosa costasse!”.
Vi lascio con questa intervista 🙂