Quando ascolto gli U2, penso a mia madre, che li ama quanto me, che li canta a squarciagola con me e che nel 2018 ha assistito al loro concerto a Milano con me.
In questo periodo di quarantena il mio pensiero va spesso a quel concerto, quell’atmosfera, quelle emozioni che ho rincorso per anni (eh sì, erano anni che desideravo andare ad un concerto degli U2, ma la corsa ai biglietti mi ha sempre fregata).
Tra i loro album, “The Joshua Tree” è sicuramente uno dei miei preferiti, ma non solo mio, infatti resta tutt’oggi il loro album più venduto e una pietra miliare per tutti i fan.
Pubblicato nel 1987, ha debuttato al numero uno nelle classifiche inglesi e altrettanto rapidamente ha raggiunto i vertici delle classifiche americane. Con quest’album, gli U2 sono diventati la quarta rock band a comparire sulla copertina di Time (dopo i Beatles, The Band e The Who).
Con “The Joshua Tree” il gruppo ha spostato l’attenzione verso le radici della musica statuninense, iniziando ad esplorare il blues, il country e il gospel.
Due mesi dopo la pubblicazione dell’album, la rivista Rolling Stones ha scritto: «La bellezza selvaggia, la ricchezza culturale, il vuoto spirituale e la feroce violenza dell’America vengono esplorati per ottenere degli effetti di fatto in ogni aspetto di The Joshua Tree; già nel titolo e nelle immagini sulla copertina dell’album, il blues e il country si mescolano chiaramente nella musica… Infatti, Bono dice che “smantellare la mitologia dell’America” rappresenta una parte importante dell’obiettivo artistico di The Joshua Tree.»
Ed è proprio la copertina, la protagonista di quest’articolo:
Lo scatto di copertina e tutti gli altri che compongono l’album sono stati realizzati dal fotografo e regista Anton Corbijn, il quale aveva già collaborato con gli U2, entrando in perfetta sintonia con la band, tanto da essere definito “il quinto membro della band”.

Le fotografie fortemente evocative, realizzate per “The Joshua Tree”, riprendono paesaggi desertici in un bianco e nero sublime, tale da restituire perfettamente tutta la forza e la malinconia del disco.
Ma per raccontare come sono nati questi scatti, facciamo un passo indietro.
Uno dei primi titoli ipotizzati per l’album era “The Two Americans” per rappresentare l’incontro fra due culture. Con questa vaga idea in testa, il grafico Steve Averill, il fotografo Anton Carbijn e gli U2, salgono su un bus a metà dicembre 1986 per visitare la Death Valley, Zabriskie Point, il deserto del Mojave e la città fantasma di Bodie.
Nel documentario Classic Albums, il fotografo spiega “In programma c’erano tre giorni di session fotografiche. La sera del primo giorno sono uscito con Bono e gli ho detto: c’è un albero che mi piace molto, si chiama Joshua Tree. Sarebbe bello metterlo in copertina, con l’immagine della band sul retro”. Bono è sceso la mattina successiva con la Bibbia in mano. Aveva cercato l’Albero di Giosuè nella Bibbia e pensava che era un buon titolo. Quello stesso giorno siamo usciti per cercare l’albero”.
E lo trovano mentre sfrecciavano sulla Route 190 vicino a Darwin in California: “Abbiamo trovato questo bellissimo albero solitario. Di solito se ne incontrato tanti tutti assieme, è stato strano trovarne uno isolato. Da allora non ho più visto uno così”. Inizia così lo shooting di circa 20 minuti, finchè il freddo invernale non li costringesse a risalire sul bus. Bono ha raccontato “Si gelava e non avevamo neanche i cappotti per dare l’impressione che fossimo in un deserto. È uno dei motivi per cui abbiamo quell’aria cupa”.

Il fotografo decide di utilizzare una lente panoramica che non conosceva ancora perfettamente, per sfruttare al massimo l’ampiezza del paesaggio.
Una settimana dopo, ritirando i negativi dal laboratorio, Corbijn si accorge del rischio che aveva corso: tutte le foto erano leggermente sfuocate, con un unico soggetto nitido sullo sfondo, l’alberello. «All’inizio provai un tuffo al cuore e pensai: ho fatto un casino. Solo in un secondo momento mi resi conto che il risultato così era ancora più potente».
Alla fine per la copertina fu scelta una foto scattata a Zabriskie Point, mentre l’immagine con l’albero è presente nella confezione apribile:
Il paesaggio desertico descrive perfettamente lo stato d’animo di Bono, dopo un anno da dimenticare. Nel 1986, infatti, il suo assistente personale Greg Carroll muore in un incidente a Dublino mentre guidava la moto di Bono. “Ecco perché mi attirava l’idea del deserto. Quell’anno è stato davvero un deserto per noi”.
Per il bassista della band, Adam Clayton, l’immagine aveva un significato meno negativo: “L’immagine mentale del deserto è per noi una grande fonte di ispirazione”, ha detto a Hot Press nel 1987. “La maggior parte della gente pensava al deserto come luogo sterile, il che naturalmente è vero. Ma, nello stato d’animo giusto, rappresenta anche una metafora positiva, è come una tela bianca su cui puoi dipingere qualunque cosa”.
Dopo la pubblicazione dell’album, tantissimi fan degli U2 sono riusciti a rintracciare il luogo in cui si trovava il famoso albero, trasformandolo in una meta turistica. Occorre parlare al passato, perché nel 2000 l’albero è morto per cause naturali, crollando al suolo dopo circa 200 anni di vita.
Ma lo shooting per “The Joshua Tree” non è di certo l’unico lavoro fotografico di Anton Corbonij.
Nato nel 1955 nei Paesi Bassi, il fotografo è sempre stato affascinato dal mondo musicale e per tale ragione, nel 1979 decide di trasferirsi a Londra per entrare in contatto con le band del momento. Dopo il 1985 fotografa molti personaggi dello spettacolo per numerose riviste, tra cui Vogue, Rolling Stones, ELLE, Glamour e realizza ritratti di musicisti e attori, quali Tom Waits, REM, Depeche Mode, Rolling Stones, Nick Cave, Clint Eastwood.






Ha poi realizzato videoclip per molti artisti, tra cui Coldplay, Depeche Mode, Nirvana, Red Hot Chili Peppers, Metallica, U2.
A giovedì prossimo con un’altra copertina!